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Del buon uso della pirateria

Cos’hanno in comune la pianola meccanica e il primo videoregistratore Betamax, i ricercatori indiani che copiano i farmaci per la cura dell’AIDS e il pensionato bretone condannato per aver scaricato dei film da Internet utilizzando un programma peer to peer? Lo scoprirete nel bel libro di Florent Latrive, Du bon usage de la piraterie.

Cosa ci fanno nello stesso libro Mozart e Bill Gates, i setaioli lionesi del XVIII secolo e il ministro della giustizia americano, Victor Hugo e Linus Torvalds?

Cos’hanno in comune la pianola meccanica e il primo videoregistratore Betamax, i ricercatori indiani che copiano i farmaci per la cura dell’AIDS e il pensionato bretone condannato per aver scaricato dei film da Internet utilizzando un programma peer to peer?

Sono uomini e tecnologie coinvolti, in tempi differenti, nella battaglia attorno ai diritti di proprietà intellettuale, un conflitto che ha origini lontane, ma che, con i progressi della tecnologia e l’avvento del digitale, mette in discussione lo stesso statuto delle scienze e l’accessibilità dei saperi nella società contemporanea.

Uomini e tecnologie li ritroviamo tutti in Du bon usage della piraterie (Del buon uso della pirateria), il bel libro che Florent Latrive, giornalista di Liberation, ha pubblicato in Francia nell’ottobre 2004. Il testo è apparso nel tradizionale formato cartaceo presso le Editions Exils (18 euro) , in rete invece è disponibile in formato .pdf (questo è l’indirizzo da cui scaricarlo: http://www.freescape.eu.org/piraterie), distribuito con licenza Creative Commons BY-NC-SA. Al momento non ne è prevista la pubblicazione in italiano.

Partendo dalla manifestazione più visibile di questo conflitto, l’uso sempre più diffuso di programmi peer to peer per scaricare da Internet brani musicali e film, Latrive ha il grande merito di mostrare le reali dimensioni di uno scontro le cui implicazioni sociali vanno ben oltre il popolo degli internauti.

L’autore delinea lo scenario di questo conflitto, ne presenta i principali protagonisti, definisce il quadro giuridico internazionale entro cui si sviluppa, con riferimenti più precisi alle legislazioni americana e francese, sottolinea il carattere storicamente determinato del concetto di pirateria.

In questa battaglia si affrontano due concezioni dei diritti della proprietà intellettuale. La prima è una concezione patrimoniale che mira a equiparare i diritti di autore, i brevetti e le altre forme della proprietà intellettuale alle forme della proprietà fisica su un oggetto, per questa concezione allora, la copia di una canzone o di un film va considerata e punita come il furto o lo scasso. La seconda concezione considera i diritti della proprietà intellettuale come il risultato della mediazione tra gli interessi generali e quelli degli autori, dove vanno tutelati i legittimi interessi materiali dei creatori, ma va anche garantita la libera circolazione dei saperi e delle conoscenze.

Questo precario equilibrio è oggi messo in discussione da una pericolosa tendenza alla privatizzazione dei saperi e alla restrizione degli accessi alla cultura. Questa tendenza è promossa dai grandi interessi economici: le majors dell’industria dello spettacolo, i produttori (o il produttore?) di software, le multinazionali dell’industria farmaceutica o di quella agro alimentare. Gli strumenti sono molteplici: dall’inasprimento delle pene a difesa del diritto d’autore all’estensione incontrollata dei brevetti ( ormai si può brevettare quasi tutto: le sequenze genetiche, le molecole , le procedure di ricerca).

A questa privatizzazione selvaggia si contrappone un fronte ampio e frammentato che comprende i milioni di navigatori che su Internet si scambiano e condividono file, i sostenitori del software libero e del suo modello collaborativo e decentrato, quanti propongono licenze di libero accesso per i prodotti distribuiti in rete (dalla GPL alle licenze Creative Commons), una parte del mondo accademico che ancora rivendica il modello della scienza aperta, i governi di quei paesi del sud del mondo che si oppongono alle pretese delle multinazionali di imporre i loro brevetti.

Latrive ritiene importante da un lato contrapporre alla privatizzazione un modello di pubblico dominio delle opere d’ingegno fondato sul principio della condivisione e socializzazione dei saperi, dall’altro elaborare una “politica dell’immateriale” che si faccia carico di quei meccanismi che rendano possibile una giusta remunerazione degli autori e dei creatori nel rispetto del libero accesso alle conoscenze.

Nel libro questo conflitto viene raccontato in maniera brillante attraverso la presentazione di personaggi o scontri emblematici, l’autore non perde mai occasione di mostrarci cosa si nasconde dietro ai luoghi comuni diffusi dai grandi mezzi di comunicazione.

In questo senso già il titolo è significativo: i pirati non hanno mai goduto di buona stampa, invitare al buon uso della pirateria può sembrare una provocazione; ancora più significativa la presentazione dell’analisi dell’etica hacker, che porta filosofo finlandese Pekka Himanen ad affermare che Socrate, per il suo atteggiamento, per la sua relazione appassionata con il sapere, per la sua apertura mentale e per la ricerca di direzioni intellettuali impreviste è il più grande hacker di tutti i tempi.

E per chi si stesse ancora chiedendo che cosa c’entra Mozart, concludiamo con il caso di Brianna una ragazzina americana di 12 anni portata in giudizio per aver scaricato da Internet delle canzoni coperte da copyright; l’autore ci ricorda che anche Wolfgang Amadeus Mozart all’età di 14 anni assiste all’esecuzione nella Cappella Sistina del Miserere di Allegri e violando il divieto di divulgazione trascrive a memoria tutto lo spartito: entrambi hanno infranto le regole della proprietà intellettuale. Anche Mozart, come Brianna, era un pirata?

Per chi conosce un po’ di francese, sicuramente un libro da leggere, gli altri per il momento devono accontentarsi della introduzione "Tutti pirati!" ( nell’allegato qui sotto) e dell’estratto dal terzo capitolo “La stampante, il finlandese e i pinguini”, nella speranza che qualche editore italiano si decida a pubblicare il testo di Florent Latrive.

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